28 ottobre 2011

LAURA, CHE CANTAVA NELLE MELE VERDI

Laura sul palco di uno spettacolo delle Mele Verdi e adesso


«Io sono arrivata dopo Barbapapà e prima del Festival di Sanremo. Non so a chi possa interessare la mia esperienza...». Così dice Laura, che negli anni Ottanta è stata una delle Mele Verdi. Ovvero il gruppo di bambini e ragazzi che stava dietro le sigle di cartoni e telefilm e, almeno nella zona di Milano, anche sul palcoscenico dei teatri. Se ne vanta? Nemmeno un po'. E non perché pensa ai giorni in cui «avevamo come divisa di scena i pantaloni corti e le magliette a righe», e lo dice con una faccia che lascia intuire un filo di disagio per l'abito di scena. Questione di carattere, forse, altrimenti non avrebbe iniziato una conversazione sul tema, con le canzoni a cui non ha partecipato.
Allora pensiamo noi a elencare quelle in cui c'era anche la sua voce: La banda dei ranocchi, per esempio, sigla del cartoon omonimo, quello dello stagno in cui vivevano tra mille avventure Demetan e Ranatan. Oppure Ippotommaso, che “possiede una mascella che ci entra anche una villa”. O ancora Sabato al supermercato, che faceva da canzone a tema di uno spettacolo portato nei teatri di Milano, in cui le piccole Mele cantavano, ballavano e recitavano. «E mia madre» ricorda Laura «aveva cucito i costumi». Un'impresa non facile, visto che si parlava di educazione alimentare e i giovani attori dovevano vestirsi da carboidrato e da proteina.
Ma come si diventava Mele Verdi? «Per caso» ricorda Laura, che all'epoca viveva a Milano. «Mitzi Amoroso era la leader e fondatrice del gruppo. E, per reclutare giovani cantanti, spesso girava per chiese e oratori, per ascoltare i cori parrocchiali. Quando è arrivata nel mio, mi ha chiesto se volessi provare quell'avventura. Non credevo di avere una voce particolare. Ma è andata così».
Per Laura e le sue coetanee del gruppo fu l'inizio di un'esperienza davvero speciale. Come le sessioni in sala di registrazione, per esempio, per mettere su nastro le canzoni che poi sarebbero diventate 45 giri. «Fu una sorpresa scoprire che i pezzi di canzoni si registravano uno per volta, anche più volte, e poi venivano miscelati insieme in un secondo tempo. Pensai che così era troppo facile». E come gli spettacoli: «Sul palcoscenico si ballava, si cantava e si recitava. Ci aiutava un attore adulto. E mi ricordo le sgridate di Mitzi...». Era un gruppo di Under 14, certo, ma organizzato con criteri di grande professionalità. Basti un breve elenco delle collaborazioni: Roberto Vecchioni scrisse tutti i testi delle canzoni di Barbapapà, non solo quella della sigla ma anche quelle che compaiono nelle varie puntate. Corrado Castellari, musicista che ha collaborato con Fabrizio De André e Mina, collaborava con Mitzi alle canzoni. E la figlia di lui, Melody, era parte del gruppo.
Di Mitzi Amoroso, la leader e fondatrice, Laura ha un ricordo molto affettuoso. E sa svelarne anche qualche segreto: «Ricordate la sigla di Woobinda? La voce del bambino del ritornello è quella di suo figlio. Invece ho perso di vista le altre ragazze del gruppo». Qualcuna è stata “ripescata” dalle trasmissioni revival, come I migliori anni. E un elenco delle componenti del gruppo nel corso degli anni di attività più intensa è sul sito che i fans hanno dedicato alle Mele Verdi. Laura non ne fa (ancora) parte, benedetta timidezza.
L'esperienza finì, per questione di età, e di priorità: «Ero una ragazza, ormai. E devo ammettere che mi metteva un po' a disagio continuare a salire sul palcoscenico con gli abiti di scena da bambina...». Però nessun rimpianto, solo bei ricordi. E quella solita timidezza: «Ma siete sicuri che interessi a qualcuno?». Scommettiamo di sì?

PS: adesso Laura per gli amici è Lalla e ha un lavoro bellissimo: fa parte della sezione italiana di Dialogue in the dark, ovvero dialogo nel buio. Perché è al buio il viaggio che propongono, attraverso stanze che simulano situazioni della vita di tutti i giorni (dalla strada al bar). Ci si muove accompagnati da non vedenti che si orientano perfettamente al buio, mentre noi, che pure abbiamo gli occhi che funzionano, neanche un po'. Così, per una volta soltanto, proviamo a vivere da disabili in un ambiente dove loro, che consideriamo disabili, ci fanno da guida. Niente di più istruttivo.

26 ottobre 2011

«CORRIERE DEI PICCOLI» VS. «CIOE'» – SECONDA PARTE


Due giorni fa abbiamo parlato del “Corriere dei Piccoli”.

Altro discorso va fatto per “Cioè”.

A segnare il passaggio da una fase infantile ad una adolescenziale sta proprio questo radicale cambiamento di letture.

Cioè” (tuttora in vita) è una rivista settimanale, che uscì per la prima volta in edicola nell'ottobre del 1980 e doveva il suo nome all'uso, o meglio all'abuso di tale avverbio che in quegli anni veniva fatto nei dialoghi tra giovani (ci si augura che la redazione non decida di ammodernare il titolo scegliendo la parola più usata dai giovani di oggi perché credo che la presunta rivista “C_ZZ_” non vedrebbe nemmeno la luce e sarebbe censurata ancor prima di uscire!).

Non so se negli anni questa imperdibile pubblicazione abbia subito qualche cambiamento quindi mi limito a parlare di quello targato anni Ottanta, sul quale sono ferrata (e c'è da vantarsene!). Da qui l'uso di verbi al passato.

Cioè” si rivolgeva a un pubblico prevalentemente femminile, che gradiva molto alcune scelte editoriali quali: la copertina anteriore e quella posteriore zeppe di adesivi, i gadget, rigorosamente luccicanti e glitterati, di vario tipo (per lo più cosmetici, bigiotteria o accessori di abbigliamento), i super poster, piegati su se stessi per farli stare dentro al formato tascabile della rivista. Ma il suo pezzo forte, ciò che lo renderà per sempre una perla, anzi una pietra miliare nell'editoria mondiale di qualsiasi epoca erano le esilaranti risposte ai grandi interrogativi di quegli adolescenti un po' imbranati, interrogativi che, declinati in varie forme e maniere, si potevano riassumere in quello più gettonato: «Ieri sera ho baciato il mio ragazzo...non è che adesso sono incinta?».

La rubrica della “Posta del cuore” infatti conteneva un'infinità di domande – talune obiettivamente assurde che certo... a leggerle oggi, non può che venirti da ridere! – legate alla sessualità e dintorni (come non citare il problema di Pesciolina '76, comune a tante altre ragazze dell'epoca, che sulle pagine di “Cioè” trovava il coraggio di chiedere: «Ho cercato di mettere un assorbente interno ma non ci sono riuscita...è forse perché sono ancora vergine? Come devo fare?»....Ora, con tutta la buona volontà, stella mia: ma cosa ti può rispondere uno sul giornale? Spiegartelo con una serie di schizzi esplicativi???) che presupponevano il più delle volte risposte di rito.

Un esempio?

«Il mio ragazzo vorrebbe farlo ma io ho paura...non mi sento ancora pronta. Come mi devo comportare?», chiedeva Confusa '73. E allora cosa rispondeva la saggia dottoressa? La più classica e scontata delle risposte: «Stai tranquilla. Se ti ama davvero, saprà aspettare» (ma vaglielo a spiegare al ragazzo interessato!!!).

Davvero ne era convinta? Non è che i soggetti preposti a rispondere a tali quesiti finivano con l'incasinare ancora di più le idee ai già confusi ragazzini?

25 ottobre 2011

LA MAXICLASSIFICA DI RADIO DEEJAY


Fra pochi mesi, esattamente il 1 febbraio 2012, Radio Deejay compie trent'anni. Basterebbe la data di nascita a fare di lei una vera radio ottantologista. Ma non è questo il punto. Tra le iniziative per celebrare il compleanno, ce n'è una che coinvolge noi ascoltatori internauti. Linus & co. hanno scelto 300 canzoni che hanno rappresentato la storia dell'emittente e di questi trent'anni di musica. E le hanno sottoposte al giudizio via internet dei fans. Basta entrare in questa pagina, scegliere la propria canzone preferita tra quelle proposte e votare. Ce ne sono di ogni età e di ogni genere, dal rock alla dance. E, per facilitare il nostro compito, sono divise per decadi.
Ovviamente, per spirito di bandiera, ho cliccato d'ufficio sula lista degli anni Ottanta, consio di rinunciare a priori a capolavori come Losing my religion dei Rem o One degli U2. Ma sicuro di trovare altrettanti capolavori. Ci sono i Duran Duran, rappresentati da Save a prayer, i Depeche Mode con Everything counts, i Simply Red, i Cure (e che fatica resistere per non cliccare subito su Close to me...), Cyndi Lauper, i Dead or Alive e perfino i Clash. Ma dopo averci pensato su, il mio voto è andato a The Boss. Ovvero a Bruce Springsteen, e a Dancing in the dark, primo singolo dell'album Born in the Usa, quello che aveva in copertina jeans, tshirt bianca, chitarra e bandiera americana, ovvero un condensato di sogni per qualsiasi adolescente dell'epoca.
Ora tocca a voi. Con una sola raccomandazione: andate e sostenete le canzoni anni Ottanta. Sarà questa la vostra missione. E, se vi va, condividete il vostro voto sulla nostra pagina Facebook. Così facciamo anche una microclassifica ottantologista...

Ps: peccato che si siano dimenticati canzoni-bandiera di Radio Deejay e Deejay Television. Niente Tipinifini, Via Verdi, Taffy o Tracy Spencer in quell'elenco ;)

ps2: c'è anche un errore, visto che Word Up è attribuita ai contemporanei Cromeo e non ai Cameo...

24 ottobre 2011

«CORRIERE DEI PICCOLI» VS. «CIOE'» – PRIMA PARTE



La nostra generazione, cresciuta negli anni 80, ha avuto abitudini ben diverse da quelle dei ragazzi del nuovo millennio (mi rendo conto che questa affermazione sia di un'evidenza disarmante...ma talvolta servono delle ovvietà per introdurre un discorso!).
Orfani di Internet, invece di passare ore spulciando nella rete in cerca di puntate del nostro cartone preferito o di informazioni sull'idolo del momento, ci fiondavamo ogni settimana in edicola.
All'inizio fu lo storico “Corriere dei Piccoli”, la più amata rivista di fumetti dell'editoria italiana che fece la sua prima apparizione il 27 dicembre 1908 come supplemento del “Corriere della Sera”.
La maternità dell'idea andava nientepopodimeno che all'educatrice Paola Lombroso, figlia del famoso criminologo Cesare, ed in pochi anni il “Corrierino” (come venne soprannominato) riscosse un grandissimo successo, soprattutto grazie alla scelta di pubblicare – oltre a giochi e racconti vari – la versione italiana di numerosi fumetti americani come “Bibì e Bibò” o “Arcibaldo e Petronilla”.
Non c'erano ancora le nuvolette con le battute dei vari personaggi ma le storie erano sottotitolate con filastrocche in rima baciata (come non ricordare le famose rime baciate del Signor Bonaventura, “ricco assai da far paura”???).
Cercando di adeguarsi al cambiamento dei tempi, il settimanale nel 1968 divenne a colori e due anni dopo aumentò il numero di pagine, passando da 52 a 68. Con l'avvento dei cartoni animati in tv negli anni Ottanta, iniziò a pubblicare a fumetti le serie di maggior successo come ad esempio Memole, Hello Spank!, Maple Town, Kiss Me Licia, Occhi di Gatto, per citarne solo alcuni. Una menzione a parte va a La Stefi di Grazia Nidasio, una tipa sveglia e curiosa le cui storie, semplici ma mai banali o scontate, rispecchiavano alla perfezione il mondo dei bambini.
Non a torto Gian Antonio Stella ha scritto: «I personaggi del “Corrierino”, con la loro poesia e leggerezza, si sono presi un pezzetto del nostro cuore e ci hanno aiutato a crescere».
Il “Corriere dei Piccoli” fece la sua ultima apparizione in edicola il 15 agosto 1995, dopo quasi 90 anni di onorata carriera.
E a chi passò il testimone? Quale rivista settimanale si occupò di rispondere alle domande e soddisfare le curiosità di quel difficile pubblico di lettori che erano (e sono) i teenagers (termine nel quale vengono inclusi non solo gli adolescenti veri e propri ma anche gli appartenenti alla fascia pre adolescenziale, cioè quelli che non sono più bambini ma non ancora ragazzi)?
Cioè”, ovviamente! Ma questa è materia per un altro, succulento post!



23 ottobre 2011

LA GUIDA TV DI OTTANTOLOGY (24-30 ottobre)

Tj Hooker torna su Fox Retro
I telefilm vintage funzionano: lo prova il fatto che il network di canali che punta da un po' di mesi sulle sitcom di una volta in seconda serata sembra aver deciso di triplicare l'offerta. Se fino a pochi giorni fa sul digitale terrestre CanalOne (canale  38) e K2 (canale 41) trasmettevano a reti unificate una compilation di puntate de I Robinson, Il mio amico Arnold e i Jefferson, ora pare che si sia aggiunto il canale Frisbee, canale 44. E ognuno dei tre sceglierà una serie, sera dopo sera, per ampliare il ventaglio di scelte di noi ottantologisti. Vedremo se l'esperimento continuerà.
Niente nuovi esperimenti per Italia 1, invece: restano i Puffi alle 7 del mattino, Heidi alle 7,30 e le due puntate della serie sequel di Mila e Shiro alle 17,30, dal lunedì al venerdì. Giovedì alle 23,25 invece, dopo il passaggio sul satellite di qualche giorno fa, va in onda in chiaro il sequel di Jerry Calà Torno a vivere da solo, "figlio" di un film cult degli anni Ottanta. Se invece vi mancano gli albori della Gialappa's Band in tv, passate sabato alle 22 su Italia 2: c'è Mai Dire Gallery, dove ci saranno spezzoni anche di Mai Dire Banzai, il loro esordio sul piccolo schermo, datato 1989. Anche Rete4 conferma la mattina poliziesca, con Starsky e Hutch alle 7,30 e subito dopo, alle 8,30, Hunter. E sabato notte all'1,40 torna il revival di Hello Goggi, lo show del 1981 con Loretta Goggi.
Passiamo al satellite? Su Man-Ga, accanto a Ken il guerriero (alle 17,10) e a Sampei (alle 18.05) fa capolino la serie D'Artagnan e i moschettieri del re, dal lunedì al venerdì alle 18,35. La sua particolarità? Aramis, nella trasposizione cartoon giapponese, è femmina... Quanto alle proposte di Fox Retro, che ne dite di Tj Hooker? C'è William Shatner, ovvero il capitano Kirk di Star Trek, nei panni del poliziotto. L'appuntamento è alle 15,55 ogni pomeriggio dal lunedì al venerdì. Diva Universal invece dedica lunedì sera alle 19,50 dieci minuti a un volto che, insieme al marito ha segnato il panorama degli anni Ottanta, ovvero Nancy Reagan, consorte di Ronald, presidente degli Stati Uniti dal 1981 al 1989. Lo fa nello speciale Donne nel mito. Se invece siete calciofili e pure milanisti, non perdetevi martedì sera alle 18 su Espn Classic la sintesi della finale della Coppa dei Campioni 1989 Milan-Steaua Bucarest. Ovvero il capolavoro dei rossoneri targati Arrigo Sacchi.

21 ottobre 2011

IL RITORNO DI EL CHARRO (E DI NAJ OLEARI)

Uno zainetto Naj Oleari, edizione 2011

Ma che succede alla piccola e periferica Biella? Quella che è (era?) la capitale mondiale della lana di pregio (e che incidentalmente è la nostra città), sembra avere il dono di Re Mida per quanto riguarda i marchi anni Ottanta: passano di qui, e riprendono vita. Era successo nel 1996 con Naj Oleari, il brand degli zainetti da merenda dell'asilo, dai colori pastello e dai motivi allegri, che spopolarono tra le teen agers del 1985 e dintorni. Dopo il declino post-eighties, il marchio fu acquistato dalla famiglia Lavino, imprenditori biellesi già sul (vostro) mercato con i cosmetici di Bottega Verde. Il risultato? Ora i prodotti Naj Oleari sono di nuovo tra noi: scarpe, occhiali, tessuti da arredamento, perfino sedie di design fatte in cartone e, naturalmente, borse e zainetti. Che, se li vedessero le vostre bimbe, con quel bel colore rosa e i lamponi disegnati, scommettiamo che rinuncerebbero alle Winx?

Una cintura El Charro, edizione 2011

E poi è arrivato El Charro. Il marchio si è smembrato: quasi tutto fa capo a un'azienda di Latina, tranne le cinture, ovvero il prodotto trainante degli anni Ottanta. Questo ramo d'azienda è stato rilevato da Celestino Nasti, ex direttore di un ufficio postale in provincia di Biella. E proprio da Biella ha rimesso in piedi produzione e distribuzione, anche via web, delle cinture: ci sono quelle di allora, con le preziose fibbie (che si possono acquistare anche singolarmente) che andavano mostrate, ficcando i maglioni dentro i jeans come voleva la moda. E ci sono anche prodotti dal design nuovo, come la cintura dedicata ai tifosi dell'Angelico Biella di pallacanestro, di cui El Charro è co-sponsor.
Che dite, ci mettiamo un po' d'impegno, noi biellesi, e riportiamo in edicola anche Il Paninaro? In fondo, prima che arrivasse l'Ikea, eravamo anche la capitale del mobile, che viaggiava in tutta Italia, isole comprese. Provare per credere...

18 ottobre 2011

LE INDIMENTICABILI SORPRESINE DEL MULINO BIANCO




Negli anni Ottanta le merendine del Mulino Bianco riscuotevano un indiscusso successo tra noi bambini, anche (anzi, personalmente direi: soprattutto) grazie al binomio dolcetto – sorpresina.
Ce n'erano più di 600 differenti tipologie – come ad esempio le carte da gioco, le gomme da collezionare a forma di biscotto o di brioche (che andavano bene giusto per il collezionismo perché ad usarle, ti ritrovavi il foglio marroncino!), le matite pieghevoli, i normografi, i temperamatite (che temperavano poco), il gioco dell'oca (al quale potevi giocarci solo se dotato di ottima vista o di lente di ingrandimento poiché le sue forzate dimensioni lillipuziane lo rendevano di difficile utilizzo) – contenute in un primo tempo nelle caratteristiche scatole da fiammiferi e poi in un flow pack azzurro con le nuvolette bianche.
A partire dal 1982 (e per dieci anni) fece il suo ingresso nella comunicazione pubblicitaria della ditta il Piccolo Mugnaio Bianco che nel suo minuscolo mulino sito nella Valle Felice cercava di creare nuove delizie che lo aiutassero a conquistare l'amata Clementina, la quale però non se lo filava minimamente. Grazie a questo nanerottolo, creato dall'illustratrice Grazia Nidasio e protagonista di vari cortometraggi animati, venne rimpinguato ulteriormente il già ricco merchandising di sorpresine.
Il collezionarle era diventata una specie di droga (dipendenza questa alimentata anche dal “mercato nero” dei doppioni tra compagne di classe, che di solito aveva furtivamente luogo nel cortile della scuola elementare) che a sua volta andava crescere esponenzialmente le vendite dell'azienda (della quale, suo malgrado, la mia famiglia era diventata un'azionista di maggioranza data la mole degli acquisti settimanali).
...e poi oggigiorno gli uomini si chiedono perché noi trentenni del nuovo millennio facciamo così fatica a rispettare una dieta: avete presente tutte le tentazioni che abbiamo avuto durante l'infanzia?! E vai a spiegare loro che in realtà si trattava solo della sacra causa del collezionismo!

16 ottobre 2011

LA GUIDA TV DI OTTANTOLOGY (17-23 ottobre)

Gundam, martedì sera su Italia 2

Interessano i cartoni? Allora Italia 2 sul digitale terrestre si affianca a Italia 1 a lavorare per noi. La rete madre continua a garantirci ogni mattina dal lunedì al venerdì i Puffi alle 7 e Heidi alle 7,30 e, nel pomeriggio, a partire dalle 17,30, due puntate del sequel di Mila e Shiro. E Italia 2, addirittura in (quasi) prima serata martedì, ci offre due puntate del mitico Gundam. L'appuntamento è alle 22. Rete4 continua nella sua mattina di telefilm anni Ottanta con Starsky e Hutch alle 7,30 e Hunter alle 8,30. E lunedì sera in prima serata, alle 21,15, c'è un film del 2006 ma che arriva dritto dritto dai nostri decenni: Rocky Balboa, l'ultimo film della saga interpretato da Sylvester Stallone. E se vi piace l'azione, restate su Rete4 anche mercoledì: c'è Die Hard, ovvero Bruce Willis nel ruolo del duro. Il primo film del ciclo è del 1988. Solo un anno dopo usciva nelle sale Tequila Connection, con Mel Gibson e Michelle Pfeiffer. Sarà il "bellissimo" di Rete4 di giovedì sera.
Sul digitale terrestre continuano le repliche su K2 e CanalOne delle sitcom afroamericane: ogni sera dal lunedì al venerdì dalle 22 circa i due canali miscelano i Robinson con Il mio amico Arnold e i Jefferson. Comunque vada, si ride, e di gusto.
E sul satellite? Cominciamo da Fox Retro, dove Il mio amico Arnold è alle 12,30 e i Jefferson sono alle 22,55. Ma c'è anche, giovedì alle 21, il Tenente Colombo, mai troppo compianto. Man-Ga non rinuncia a Sampei, alle 18,05. E su Sky Cinema Comedy, domenica alle 21, sarà in onda Ghostbusters II, seguito del film campione d'incassi del 1984.

14 ottobre 2011

IL "CHEECOTING" NEGLI ANNI OTTANTA





Il mondo va proprio alla rovescia, cari miei! Un esempio? Oggi lo chiamano “cheecoting” (parola dall'etimo incerto, forse un inglesismo o forse in qualche modo imparentata con lo spagnolo “chico”, per alludere ai ragazzini che si cimentano in questa “disciplina” nelle assolate spiagge di Acapulco), ci giocano gli adulti ed esistono addirittura un torneo italiano di biglie da spiaggia (giunto quest'anno alla settima edizione) e un campionato mondiale (che quest'anno è arrivato alla sua quarta edizione, riunendo a Rimini i migliori giocatori dei cinque continenti).
Trent'anni fa, invece, funzionava così: durante le vacanze, mentre la mamma era assorta a prendere il sole e il babbo nella lettura della Gazzetta, ci si ritrovava con sei o sette bambini, vicini di ombrellone, sulla battigia della spiaggia e si diceva banalmente «giochiamo a biglie?». Il passo successivo era scegliere un amichetto dotato di sederone bello “importante” nonché disposto a lasciarsi trascinare per le gambe fino a formare una pista grazie al solco (che doveva essere di sezione rotondeggiante) lasciato dal suo suddetto deretano.
Infine si estraevano le biglie. Ne esistevano di due tipi: quelle di vetro, con un motivo colorato all'interno (con vari disegni e di differenti dimensioni), belle esteticamente ma un po' troppo raffinate, tanto più che per la finalità risultavano troppo pesanti (andavano bene per giocarci a casa, a patto di stare ben attenti a non lanciarle inavvertitamente contro qualche soprammobile prezioso perché la biglia, se scagliata, diventava un proiettile e la mamma, se vedeva andare in frantumi il ninnolo, una iena!) e poi c'erano quelle di plastica con dentro le foto dei campioni di ciclismo come Moser, Saronni, LeMond, Gimondi, Bitossi...
Costavano una sciocchezza e le vendevano in sacchetti di plastica a rete (ma le si potevano trovare anche nei distributori automatici vicino alle cartolerie).
Quando dicono che un tempo ci si divertiva con poco, non hanno tutti i torti. Potevamo stare ore a gareggiare tra di noi con le biglie...mentre la mamma continuava a prendersi il sole tranquilla e il babbo a leggersi la sua Gazzetta.
Siamo stati i precursori del "cheecoting" e nemmeno lo sapevamo!

12 ottobre 2011

RUBIK E IL SUO CUBO


Nei giorni scorsi il web ha celebrato alcuni dei giochi targati “anni Ottanta” con un filmato che passava in rassegna quelli di maggior successo e la sequenza si apriva proprio con lui: il Cubo magico o Cubo di Rubik, dal nome del suo inventore, il professore di architettura nonché scultore ungherese Ernő Rubik.

Nella lontana primavera del 1974, nella sua casetta a Budapest, il buon Ernő ideò il prototipo che, a differenza del modello divenuto poi di successo, era di legno, monocolore e con gli angoli smussati. Dopo averlo modificato fino a renderlo come lo conosciamo noi oggi, l'anno successivo il professore affidò la distribuzione del suo gioiellino, battezzato Magic Cube, alla magiara casa produttrice di giocattoli Polithechnika. Nel 1980 la Ideal Toys Company acquistò i diritti per l'esportazione del gioco, che rinominò Rubik's Cube, cioè Cubo di Rubik, il quale in quello stesso anno si aggiudicò un premio speciale da parte della giuria del prestigioso Spiel des Jahres in Germania (l'unico solitario nella storia della manifestazione).

In un solo anno – il 1982 – ne furono venduti oltre 100 milioni di pezzi e Rubik divenne il cittadino più ricco del suo Paese. Ad oggi pare che sia il giocattolo più venduto della storia, con circa 300 milioni di pezzi all'attivo, tenendo conto anche delle immancabili imitazioni.

Ve lo ricordate sicuramente: nove quadratini colorati per ogni lato (per un totale di sei colori diversi), ognuno dei quali si può muovere sia in verticale che in orizzontale. Sono più di 43 miliardi di miliardi le combinazioni possibili («'sticavoli!!!» esclamerebbe un raffinato) ma solo una è quella corretta, che porta al risultato sperato: avere tutte e sei le facce dello stesso colore.

Che rimettere a posto tutti i pezzi e completare il cubo sia un'impresa non da poco lo dimostra il fatto che ancora oggi su Internet ci sono decine e decine di pagine dedicate a suggerire soluzioni del rompicapo, con spiegazioni dettagliate e video illustrativi.

Già nel 1980 un certo David Singmaster aveva inventato un metodo, detto “a strati”, che illustrava nel suo libro «Notes on Rubik's Magic Cube» mentre un anno dopo il dodicenne (dico...dodicenne!!!) inglese Patrick Bossert diede alle stampe la pubblicazione «You Can Do The Cube» vendendo in 365 giorni ben mezzo milione di copie.

Nello stesso periodo l'informatico Morwen Thistlethwaite dimostrò che era possibile riordinare il cubo con – al massimo – 52 mosse, mosse che, a distanza di quasi trent'anni, scesero a 26 secondo i calcoli di Gene Cooperman e Dan Kunkle.

52? 26? Forse 52...mila (per noi poveri mortali)! Anche se alcuni folli si sono impegnati nell'elaborare metodi risolutivi rapidi tramite algoritmi specifici, di certo non avrei mai vinto una gara di Speedcubing. Impossibile...a meno che uno non ricorra all'opzione più disonesta: staccare i quadratini colorati e riattaccarli con perizia fino a riformare lati dello stesso colore (ma anche solo staccare quei maledetti adesivi e riattaccarli correttamente, senza che nessuno si accorga del trucchetto escogitato, è un vero casino!). Eppure dei fenomeni esistono. Il giovane studente Minh Thai vinse il primo World Rubik's Cube Championship nel 1982 risolvendo il cubo in soli 22,95 secondi mentre l'attuale campione del mondo, lo scozzese Breandan Vallance, arrivò primo nella competizione del 2009 con una media di cinque risoluzioni in 10,74 secondi.

Io invece, dati i miei infruttuosi trascorsi, mi sento moralmente più vicina al detentore del record opposto, tale Graham Parker: costui è riuscito a impiegare ben 26 anni (per un totale di circa 27.400 ore spese) per risolvere il cubo, che aveva comperato nel 1983. Graham, hai tutta la mia solidarietà!

Se a differenza del povero Parker (e mia) qualcuno di voi si sente un mago di questa “disciplina” e volesse partecipare ai prossimi World Rubik's Cube Championship, deve fare in fretta: iniziano oggi a Bangkok (...non proprio dietro l'angolo!).


10 ottobre 2011

OTTANTA FACCE: BARBARA BONCOMPAGNI


Pochi giorni dopo aver riesumato dalle Teche Rai le Trix, ecco un'altra persona che ha a che fare con Gianni Boncompagni, guru di lungo corso di radio e tv italiana. Ha a che fare molto da vicino, nel senso che è la figlia. Si chiama Barbara Boncompagni, e questo non vi suonerà nuovo. È figlia degli anni Ottanta, nel senso che nel 1980, alla tenera età di diciassette anni, cantò la sigla di Drim programma scritto da papà, il cui video fece notizia. La canzone si intitolava Con i piedi all'insù e per spiegare l'effetto speciale della stanza che girava insieme alla telecamera, Tv Sorrisi e Canzoni ricorse anche a un breve foto-racconto. A 19 anni il padre scrisse un altro programma per la Rai e lei cantò la sigla, che questa volta s'intitolava Colpo di fulmine. A vent'anni, era il 1983, partecipò a Sanremo con Notte e Giorno.
Poi sparì dallo schermo, ma non dalla tv. Quando papà passò a Mediaset e s'inventò Non è la Rai, lei fece la ghost singer. Ovvero prestò la voce ad alcune delle adolescenti sul palco, che fingevano di cantare ma in realtà erano in playback doppio. Era il 1993 e Barbara era ormai trentenne.
E dopo? Ma soprattutto, e adesso? Voi non lo sapete, ma la possiamo considerare una regina della tv. Fa l'autrice televisiva, in forza a Magnolia, la casa di produzione dell'ex direttore di Canale 5 (e marito della giornalista Cristina Parodi) Giorgio Gori. E scrive trasmissioni su trasmissioni: hanno avuto la sua firma, negli ultimi tempi, talent show come Music Farm o X Factor, programmi di infotainment come quello che ha segnato il ritorno nel pomeriggio Rai di Alda D'Eusanio e c'è il suo zampino nel trasloco a La7 della giornalista ai fornelli Benedetta Parodi. Ma soprattutto dobbiamo a lei quel colpo di genio di Paint your life, la trasmissione che fa più discutere tra quelle del nuovo canale culto Discovery Real Time. Quella, per dirla con la battuta di uno speaker di Radio Deejay, dove "prendono un mobile di antiquariato del Seicento e lo dipingono di lilla con le nuvolette di decoupage fucsia...". Paint your life non ha mezze misure: o lo si guarda o lo si detesta. il programma e  con lui la conduttrice Barbara Gulienelli. Ma per detestarlo, prima lo si guarda. E allora ha vinto lei, Barbara Boncompagni. Altro che figlia di papà...

09 ottobre 2011

LA GUIDA TV DI OTTANTOLOGY (10-16 ottobre)

Diego Abatantuono nei panni (impellicciati) di Attila

Questa settimana cominciamo con una novità nel palinsesto di seconda serata di K2 (canale 41 del digitale terrestre) e Canalone (appena più indietro al 38): alle repliche dei Robinson, a partire dalle 22,10 tutte le sere, hanno aggiunto in alternanza quelle di Il mio amico Arnold. C'è una bella sorpresa anche su Rai4, canale 21 del digitale terrestre: alle 17,55 dal lunedì al venerdì va in onda la terza serie di Star Trek.
Sul fronte dei canali generalisti solo conferme da Italia 1: dalle 7 del mattino fino a venerdì ci sono i Puffi, dalle 7,30 prosegue la replica di Heidi (che ormai è sbarcata a Francoforte a fare incetta di panini bianchi) e dalle 17,30 vanno in onda le consuete due puntate del sequel di Mila e Shiro. Anche Rete 4 conferma la sua mattina poliziesca con Starsky e Hutch alle 7,30 e Hunter alle 8,30. Ma  la chicca da puristi ottantologisti è nel filmissimo di seconda serata di giovedì: alle 23,30 tutti sintonizzati, perché c'è Attila, il flagello di Dio, con Diego Abatantuono nei panni del "babbaro" e con il celebrato topless di Rita Rusic, già signora Cecchi Gori. E se non ne avete abbastanza di cult movies, venerdì alle 15,25 su Iris (canale 22 del digitale tetrrestre) c'è Occhio alla perestrojka, regia di Castellano e Pipolo, con Ezio Greggio, Jerry Calà e Rodolfo Laganà a contendere a belle ragazze dell'est il ruolo da veri protagonisti della pellicola.
Sul satellite, la segnalazione della settimana nel palinsesto di Fox Retro è per il telefilm quotidiano delle 13, ovvero Tre nipoti e un maggiordomo. E quella nel palinsesto di Man-Ga è per Ken il guerriero, alle 13,55 e alle 17,10 tutti i giorni. Di Sky Cinema Comedy (canale 310) dovremmo segnalare quasi ogni notte: ne scegliamo una a caso, quella tra martedì e mercoledì con, a mezzanotte e 35, La patata bollente, con Renato Pozzetto e Massimo Ranieri alle prese con equivoci gay (e c'è anche Edvige Fenech) e, a seguire alle 2,35, Sono un fenomeno paranormale, con sua maestà Alberto Sordi.

06 ottobre 2011

STEVE JOBS, 1955-2011

La home page della Apple, oggi

Era il 1984, per la precisione il 24 gennaio. Nineteen-eighty-four cantavano gli Eurythmics, facendo il verso a George Orwell. Il futuro più terribile, fatto di grandi fratelli e di macchine volanti, non si era manifestato. Al limite c'era lo Space Shuttle, che partiva come un razzo, stava in orbita e atterrava come un aereo. Per noi italiani il concetto di computer era qualcosa di lontano e di enorme: macchine grandi come pareti, o quasi, con nastri magnetici e luci colorate. Le prime tastiere legate a uno schermo proiettavano lettere verdi su sfondo nero, con chiavi di accesso difficili da comprendere per i non-nerd. Sempre uguali, luminose al punto da bucare gli occhi.
Era il 1984, il 24 gennaio, quando Steve Jobs salì sul palco di una hall in California, davanti agli impiegati e agli azionisti della Apple, azienda fondata nel garage di casa Jobs otto anni prima e quotata in borsa dal 1980. Salì e iniziò la prolusione citando una canzone di Bob Dylan: "For the loser now will be later to win". Per il perdente di oggi verrà il giorno della vittoria più tardi. Al centro del palco, sotto un telo, c'è il Macintosh. Steve Jobs leva il telo e infila un floppy disc nella sua creatura. E il Macintosh comincia a parlare, e a presentarsi da solo, con una frase: «Non fidatevi di un computer che non potete sollevare». Sotto quel telo, c'è la nuova era dell'informatica: un computer piccolo e multifunzionale che tutti possono usare per fare quasi tutto, ovvero scrivere, impaginare, disegnare, senza aver bisogno di conoscere il linguaggio dei programmatori. E scegliendo i caratteri tipografici dei propri testi (Steve Jobs, nei pigri anni di università, aveva studiato anche calligrafia). Quel Macintosh aveva un mouse e una freccina che si muoveva sullo schermo. E ha segnato l'inizio, forse il vero inizio dell'era digitale.
Oggi il mondo piange Steve Jobs, scomparso a 56 anni per un tumore. E lo fa inviando su Twitter e su Facebook messaggi di cordoglio, probabilmente usando le sue creature, un iPhone o un iPad. Noi ci limitiamo a scrivere poche righe in sua memoria su un blog dedicato a una decade che anche lui ha reso grande. Usando un MacBook del 2006, naturalmente.

05 ottobre 2011

OTTANTA FACCE: LE TRIX


Come chi? Mi state dicendo che il nome non vi dice niente? E nemmeno i volti? C'è un solo modo per rinfrescarvi la memoria, un ritornello: "Che pa-ta-trac! Chesserata-chesserata...". Allora, adesso ci siete? Sono loro, le esecutrici, in perfetto italiano, delle sigle del programma Patatrac, una delle creature per la Rai di Gianni Boncompagni, nelle stagioni tv 1981 e 1982, anni prima, insomma, che inventasse personaggi adolescenti a Non è la Rai, sponda Mediaset. Perché in perfetto italiano? Perché in realtà sono argentine, e il loro nome è la contrazione di Las Trillizas de oro. Trillizas è la parola spagnola per "tre gemelle", e loro sono identiche come tre gocce d'acqua: si chiamano Maria Laura, Maria Emilia e Maria Eugenia Fernandez, nate a Buenos Aires il 5 luglio 1960. Avevano quattro anni appena quando debuttarono nel loro primo show televisivo. E ne avevano 21 quando arrivarono in Italia, forti di un paio di film e più di qualche show televisivo tra Argentina, Venezuela e Spagna. Oltre al tormentone Patatrac, stesso titolo del programma condotto da Franco Franchi e Ciccio Ingrassia, cantavano anche C'est la vie. Oggi, splendide cinquantunenni, hanno ancora una buona popolarità in Sudamerica e un gruppo Facebook con poco meno di 1700 fans.

03 ottobre 2011

I ROBINSON, OGGI #3


Ce lo avete chiesto in tanti, sui commenti del blog. E, pensando che è grazie ai Robinson che abbiamo il maggior numero di visite sul nostro blogghettino, era il minimo esaudire il desiderio e metterci al lavoro sui personaggi collaterali dell'amato telefilm. Ecco che fine hanno fatto e come sono adesso.

Elvin Tibideaux. Ovvero il marito di Sondra, prima studente e poi dottore (in entrambi i momenti della sua vita un po' spiantato), che conquista la primogenita di casa Robinson non senza prodigarsi in pasticci epocali. Nella vita di tutti i giorni si chiama Geoffrey Owens, ha compiuto 50 anni a marzo e il ruolo di Elvin gli è rimasto così appiccicato che, nel 2005, è apparso nella sit com It's always sunny in Philadelphia, interpretando per due puntate non consecutive un tizio che poi viene smascherato al grido di “Ma tu sei quello dei Robinson...”. Ora insegna recitazione all'HB Studio di New York, scuola d'arte famosa e prestigiosa, che ha avuto tra i suoi allievi De Niro, Pacino e Barbra Streisand.

Martin Kendall. Ecco l'altro marito, ovvero l'ufficiale della Marina statunitense che sposa Denise. Joseph C. Phillips non ha vinto premi con la sua partecipazione ai Robinson ma, tra il 1997 e il 1999 è stato candidato tre volte agli Emmy per aver interpretato Justus Ward nella soap opera General Hospital. Di recente potreste averlo incontrato in una puntata di Giudice Amy, Ghost Whisperer, Bones o Castle. O, se siete negli Stati Uniti, potreste aver letto qualcuno dei suoi commenti, da attivista dell'ala conservatrice del partito repubblicano.

Russell Robinson. Alla veneranda età di 84 anni (ne compirà 85 l'11 ottobre), Earle Hyman, ovvero il nonno della famiglia Robinson, si è ritirato dalle scene. Brillante attore di teatro, membro dell'American Shakespeare Theatre negli anni Cinquanta (e fu suo il ruolo di Otello), ha frequentato i palcoscenici molto più della tv. Robinson, esclusi, ovviamente. Quello che non sapete è che ha una carriera parallela in Norvegia, anche qui come attore teatrale. Ha una casa a Oslo e parla correntemente il norvegese.

Anna Robinson. Il 30 maggio di quest'anno, all'età di 93 anni, ha lasciato questa terra Clarice Taylor, l'attrice che ha interpretato la mamma di Cliff e la nonna dei ragazzi. Dopo una brillante carriera da attrice teatrale a New York (in tempi in cui fare teatro per un nero americano non era cosa facile), si è fatta conoscere in tv anche per una parte in Sanford and Son e per il ruolo di Harriet nel programma per bambini Sesame Street. Anche Harriet era una nonna.

Pam Tucker. O anche cugina Pam, come la chiamava Cliff. In una casa che comincia a spopolarsi di figli partiti per l'università, la produzione introdusse nuovi personaggi, nelle ultime due stagioni della serie. Una di queste era la liceale da ghetto, cugina di Claire, che presto addolcisce il suo carattere conquistata dalla tiepida e rassicurante dolcezza di casa Robinson. La interpretava Erika Alexander, per la quale quel ruolo fu una rampa di lancio. Dal 1993 al 1998 fu una delle star del guardatissimo e premiatissimo telefilm Living Single, storia di sei ragazzi di colore che vivono nello stesso condominio a Brooklyn. Vi ricorda niente? Ovvio che sì, infatti la serie è soprannominata Friends nera. Peccato che Friends sia cominciata l'anno dopo... Più di recente, Erika Alexander è stata guest star in serie come Criminal Minds e ha fiancheggiato Chelsea Clinton nella campagna alle primarie per le presidenziali del 2008, spingendo, lei afroamericana, per la donna Hillary piuttosto che per il nero Obama.

Kenny. L'amico del cuore della piccola Rudy si chiama Deon Richmond e ora ha 33 anni. Uscito dal set della famiglia Robinson ha avuto una piccola carriera nel mondo di tv, cinema e nei videoclip musicali. Si segnalano le sue parti in Scream 3 o in Non è un'altra stupida commedia americana o nella serie tv sconosciuta in italia Sister, sister. E poi poco altro, anche perché, dopo il successo con il ruolo di Kenny, si è dedicato soprattutto allo studio.

Walter Bradley. “E Scarafaggio?” chiedeva un commento ai precedenti post a tema del blog. Eccolo, Scarafaggio, con il suo poco noto nome nella finzione scenica, e anche con il suo nome vero. L'attore che lo interpretava, ora ha 42 anni e si chiama Carl Anthony Payne II. Sposato dal 1992, ha un presente da attore teatrale, anche in performaces musicali: il suo Love me or leave me è diventato una serie trasmessa negli States dal canale ultratematico Gospel Music Channel.

Justine Phillips. Lei era la fidanzatina di Theo. E il verbo al passato, purtroppo, non serve solo a rimarcare la distanza temporale tra il 2011 e la nostra amata serie tv. Michelle Thomas, figlia di un'attrice e di un musicista (membro della band Kool & The Gang), è morta nel 1998, uccisa in pochi mesi da un tumore allo stomaco, con Theo, più che amico anche fuori dalle scene, al suo capezzale. Dopo i Robinson ebbe un grande successo con la sitcom Otto sotto un tetto.

Smitty. Contravvengo alla regola del post e di questo amico di Theo, metto l'immagine di allora e non quella di adesso. Il fatto è che sfido anche voi lettori a riconoscere in questo goffo adolescente Adam Sandler, attuale interprete di commedie blockbuster (la prima che mi viene in mente? 50 volte il primo bacio). Del resto, lui è figlio del Saturday Night Live, la trasmissione comica americana in cui esordirono i Blues Brothers. MP&F, mica pizza & fichi...

Nelson Tibideaux. Nel telefilm compare nell'ultima stagione e basta, piccolo come un soldo di cacio, figlio di Elvin e Sondra. Si chiama Gary Leroi Gray e ora ha 25 anni ed è attore, doppiatore e studente alla Ucla University. Il suo ultimo lavoro è un film indipendente, in cui interpreta un giovane omosessuale, ma si è intravisto in piccoli ruoli anche in Csi e in Dottor House. Ha anche interpretato in una fiction il giovane Tiger Woods, il golfista.

Winnie Tibideaux. Di lei si sa davvero poco: l'unica notizia certa è che, finito il ruolo di gemella di Nelson, e quindi figlia di Elvin e Sondra, Jessica Ann Vaughn ha abbandonato le scene. Una ricerca molto base e molto poco affidabile ha fatto ripescare questo profilo Facebook. Ma suonerebbe un po' come un'invasione chiederle l'amicizia...


Sullo stesso argomento leggi anche
I Robinson oggi #1
I Robinson oggi #2



02 ottobre 2011

LA GUIDA TV DI OTTANTOLOGY (3-9 ottobre)

Il cast di Alice, questa settimana su Diva Universal

Cominciamo come al solito da Italia 1? Questa settimana solo conferme, sul fronte cartoons: la mattina si comincia alle 7 con i Puffi e si prosegue alle 7,30 con Heidi. Il pomeriggio da partire dalle 17,30 sono in onda due puntate del sequel di Mila e Shiro. Il tutto, naturalmente dal lunedì al venerdì. Giovedì sera dalle 23,25 segnaliamo invece un film del 2008, solo perché è un sequel di un classico del 1982: s'intitola Torno a vivere da solo e il protagonista è Jerry Calà, stavolta nei panni del padre di famiglia che divorzia e non del bamboccione che mette su casa per la prima volta come in Vado a vivere da solo. Il film ebbe un successo assai relativo al botteghino. Ma, se volete, dategli una chance.
Su Rete 4 la mattina ottantologista è a base di telefilm: alle 7,30 si comincia con Starsky e Hutch e alle 8,30 si passa a un'altra coppia celebre dei polizieschi americani, ovvero Hunter, con la fida socia McCall. La notte ottantologista sarà invece quella tra sabato e domenica. Alle 2,18 in punto si replica lo show del 1981 Hello Goggi, con Loretta Goggi, una delle prime a tradire mamma Rai per rimpolpare le file di una rampante tv commerciale. Sempre di mattina e sempre sul versante poliziesco, sul digitale terrestre Mediaset di Iris alle 7,15 inizia Kojak. Il tenente terrà compagnia agli appassionati per due puntate di fila, sempre dal lunedì al venerdì.
Passando al satellite è d'obbligo un'occhiata a Fox Retro (canale 132): questa settimana segnaliamo l'appuntamento pre prima serata, intorno alle 19,50, con Otto sotto un tetto. Ma attenzione anche a Comedy Central (canale 123) dove brillano le repliche di Vita da strega, una di quelle serie che negli anni Ottanta hanno trasmesso all'infinito. Tre sono le fasce orarie in cui vengono mandati in onda miniblocchi di due puntate: la mattina tra le 8,30 e le 9, il primo pomeriggio intorno alle 13,30 e la sera intorno alle 19,30. E su Diva Universal (canale 128) dalle 8 di mattina dal lunedì al venerdì tutti al Mel's Diner a incontrare Alice.
Se invece amate il calcio di una volta, non perdetevi lunedì sera alle 21 su Espn Classic (canale 216) la finale di Coppa dei Campioni del 1987. In campo c'erano Bayern Monaco e Porto, con i tedeschi superfavoriti. Ma sull'altro fronte c'era una vecchia conoscenza del pallone nostrano, il brasiliano Juary...