Laura sul palco di uno spettacolo delle Mele Verdi e adesso |
«Io
sono arrivata dopo Barbapapà e prima del Festival di Sanremo. Non so
a chi possa interessare la mia esperienza...». Così dice Laura, che
negli anni Ottanta è stata una delle Mele Verdi. Ovvero il gruppo di
bambini e ragazzi che stava dietro le sigle di cartoni e telefilm e,
almeno nella zona di Milano, anche sul palcoscenico dei teatri. Se ne
vanta? Nemmeno un po'. E non perché pensa ai giorni in cui «avevamo
come divisa di scena i pantaloni corti e le magliette a righe», e lo
dice con una faccia che lascia intuire un filo di disagio per l'abito
di scena. Questione di carattere, forse, altrimenti non avrebbe
iniziato una conversazione sul tema, con le canzoni a cui non ha
partecipato.
Allora
pensiamo noi a elencare quelle in cui c'era anche la sua voce: La
banda dei ranocchi, per esempio, sigla del cartoon omonimo, quello
dello stagno in cui vivevano tra mille avventure Demetan e Ranatan.
Oppure Ippotommaso, che “possiede una mascella che ci entra anche
una villa”. O ancora Sabato al supermercato, che faceva da canzone a tema di uno spettacolo portato nei teatri di Milano, in cui le
piccole Mele cantavano, ballavano e recitavano. «E mia madre»
ricorda Laura «aveva cucito i costumi». Un'impresa non facile,
visto che si parlava di educazione alimentare e i giovani attori
dovevano vestirsi da carboidrato e da proteina.
Ma
come si diventava Mele Verdi? «Per caso» ricorda Laura, che
all'epoca viveva a Milano. «Mitzi Amoroso era la leader e fondatrice
del gruppo. E, per reclutare giovani cantanti, spesso girava per
chiese e oratori, per ascoltare i cori parrocchiali. Quando è
arrivata nel mio, mi ha chiesto se volessi provare quell'avventura.
Non credevo di avere una voce particolare. Ma è andata così».
Per
Laura e le sue coetanee del gruppo fu l'inizio di un'esperienza
davvero speciale. Come le sessioni in sala di registrazione, per
esempio, per mettere su nastro le canzoni che poi sarebbero diventate
45 giri. «Fu una sorpresa scoprire che i pezzi di canzoni si
registravano uno per volta, anche più volte, e poi venivano
miscelati insieme in un secondo tempo. Pensai che così era troppo
facile». E come gli spettacoli: «Sul palcoscenico si ballava, si
cantava e si recitava. Ci aiutava un attore adulto. E mi ricordo le
sgridate di Mitzi...». Era un gruppo di Under 14, certo, ma
organizzato con criteri di grande professionalità. Basti un breve
elenco delle collaborazioni: Roberto Vecchioni scrisse tutti i testi
delle canzoni di Barbapapà, non solo quella della sigla ma anche
quelle che compaiono nelle varie puntate. Corrado Castellari,
musicista che ha collaborato con Fabrizio De André e Mina,
collaborava con Mitzi alle canzoni. E la figlia di lui, Melody, era
parte del gruppo.
Di
Mitzi Amoroso, la leader e fondatrice, Laura ha un ricordo molto
affettuoso. E sa svelarne anche qualche segreto: «Ricordate la sigla
di Woobinda? La voce del bambino del ritornello è quella di suo
figlio. Invece ho perso di vista le altre ragazze del gruppo».
Qualcuna è stata “ripescata” dalle trasmissioni revival, come I
migliori anni. E un elenco delle componenti del gruppo nel corso degli
anni di attività più intensa è sul sito che i fans hanno dedicato alle Mele Verdi. Laura non ne fa (ancora) parte, benedetta timidezza.
L'esperienza
finì, per questione di età, e di priorità: «Ero una ragazza,
ormai. E devo ammettere che mi metteva un po' a disagio continuare a
salire sul palcoscenico con gli abiti di scena da bambina...». Però
nessun rimpianto, solo bei ricordi. E quella solita timidezza: «Ma
siete sicuri che interessi a qualcuno?». Scommettiamo di sì?
PS:
adesso Laura per gli amici è Lalla e ha un lavoro bellissimo: fa
parte della sezione italiana di Dialogue in the dark, ovvero dialogo
nel buio. Perché è al buio
il viaggio che propongono, attraverso stanze che simulano situazioni
della vita di tutti i giorni (dalla strada al bar). Ci si muove
accompagnati da non vedenti che si orientano perfettamente al
buio, mentre noi, che pure abbiamo gli occhi che funzionano,
neanche un po'. Così, per una volta soltanto, proviamo a vivere da
disabili in un ambiente dove loro, che consideriamo disabili, ci
fanno da guida. Niente di più istruttivo.
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