11 maggio 2011

IL MILAN DI ARRIGO SACCHI



Uno scudetto, una serie B per scommesse e, subito dopo, una per retrocessione sul campo, raffiche di acquisti bislacchi su cui spicca l'impalpabile centravanti inglese Luther Blissett, ormai più famoso per aver prestato il nome a un collettivo letterario che per le sue evoluzioni a San Siro: per i tifosi del Milan gli anni Ottanta non erano iniziati proprio benissimo.
Poi arrivò l'era di Silvio Berlusconi, fatta di un potenziale economico superiore a quello delle altre squadre, con campagne acquisti fatte di conseguenza. Ma non era solo questione di soldi e di campioni. Del Milan di Arrigo Sacchi si è tornato a parlare in questi tempi, immaginandolo come l'unica squadra in grado, in una sfida immaginaria, di tenere testa al Barcellona di Messi, Xavi e Iniesta. Quel Milan, al primo anno di Sacchi in panchina (era il 1987-88), conquistò lo scudetto vincendo a Napoli la sfida decisiva (vedi il video sopra). Quel Milan era Gullit, van Basten, Donadoni, Ancelotti. Ma era fatto anche di ragazzi del vivaio, cresciuti fino a diventare campioni, come Paolo Maldini, Billy Costacurta, Bubu Evani. Ed era fatto di gregari puri, eppure indispensabili: Angelo Colombo portava i suoi capelli biondi su e giù per la fascia destra, indispensabile come i compagni. Pur senza avere la stessa loro classe.
Dietro le quinte, c'era Arrigo Sacchi, uno che, appena arrivato in rossonero, rischiò l'esonero per aver preso due schiaffi al primo turno di Coppa Uefa dal modesto Espanyol. Berlusconi resistette e gli diede fiducia. Fece bene. L'organizzazione di Sacchi introdusse tattiche che hanno cambiato il calcio: difesa in linea, squadra corta, pressing, terzini che spingono, centrocampo in grado di soffocare gli avversari e poi di trasformarsi in macchina da attacco, talento al servizio del collettivo e mai fine a se stesso.
E soprattutto ha cambiato la mentalità del calcio nostrano. Abituate ad aspettare gli avversari, brave più a difendersi che a imporsi, le squadre italiane in Europa avevano uno spauracchio: il Real Madrid, che si poteva anche battere in casa per poi venire sommersi nel catino del Bernabeu. Nella semifinale di Coppa dei Campioni 1988-89, il Milan al Bernabeu non perse. L'1-1, nella testa italiana, era abbastanza per giocarsi il ritorno in casa difendendo e aspettando. 

Il Milan di Sacchi invece aggredì gli avversari fin dal tunnel degli spogliatoi, attaccando e nascondendo loro palla e speranze. Il primo tempo finì 3-0. In avvio di ripresa van Basten e Donadoni firmarono il trionfo. E solo allora i rossoneri si calmarono. Ma fu un successo epico. Portò il Milan in finale e alla sua terza Coppa dei Campioni, rivinta dopo vent'anni. Ma soprattutto liberò le squadre italiane dal loro complesso di inferiorità.

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