11 luglio 2011

CAMPIONI DEL MONDO, 29 ANNI FA


Cinque anni e due giorni fa, l'Italia si fermava con il fiato sospeso per una serie di calci di rigore. Ringhiando di sollievo quando Trezeguet colpì la traversa. E urlando di gioia quando Grosso mise il quinto penalty dietro le spalle dell'odioso Barthez. Eravamo campioni del mondo, di nuovo.
Noi ottantologisti sapevamo già che cosa si provava, anche se l'11 luglio del 1982 eravamo bambini. Sono passati 29 anni esatti dalla notte in cui l'Italia sconfisse la Germania 3-1, colorando di tricolore lo stadio Santiago Bernabeu di Madrid e una penisola intera. Eravamo bambini, ma ci ricordiamo tutto. Le prime, scialbe partite. I commentatori che attaccavano a testa bassa contro una Nazionale, a loro dire, senza speranze. I nostri papà che sui pianerottoli allargavano le braccia sconsolati pensando che sarebbe stato un fallimento. E per forza, con quel Bearzot che si ostinava a mettere quel Rossi titolare...
Eravamo bambini ma ci ricordiamo quanto fosse uno spauracchio l'Argentina del giovane Maradona. E come Claudio Gentile lo rese inoffensivo, con una marcatura appiccicosa come il sudore di un pomeriggio spagnolo.
Eravamo bambini ma abbiamo in mente la sensazione di quella sfida impossibile con il Brasile, persa ancor prima di cominciare, in un torrido pomeriggio di inizio luglio. Era il Brasile di Falcao, Zico (a cui Gentile strappò perfino un lembo di maglietta), Socrates, delle punizioni supersoniche dell'ala sinistra Eder. Invece segnò Rossi, e poi Rossi e poi ancora Rossi. E il Brasile che pareggiò due volte vide il colpo di testa del 3-3 bloccato sulla riga di porta dalle mani a tenaglia del quarantenne Zoff.
Eravamo bambini, ma il giorno della semifinale con la Polonia eravamo sicuri di vincere almeno quanto Bearzot, a cui nessuno osava più rinfacciare Rossi titolare (che ne segnò altre due). E cominciò a sembrarci strano vedere le nostre madri, che detestavano la domenica sera, quando con papà guardavamo 90° Minuto e non volevamo essere disturbati, chiedere a che ora giocassero.
Eravamo bambini e la sera dell'11 luglio avevamo una bandiera tricolore in mano, comprata al mercato qualche giorno prima. E attorno al divano di casa c'era una famiglia intera, calciofili e profani coinvolti dalla magia generale, a tifare. Sembrò di sentire un ululato di delusione che si alzava da tutta Italia entrare dalle finestre aperte, quando Cabrini calciò fuori il rigore. Invece fu impossibile sentire i rumori delle altre case, quando segnò Rossi: troppe urla nel nostro salotto. E quando Tardelli fece il secondo, l'unico urlo che l'Italia intera credette di sentire fu il suo. Altobelli arrotondò. Breitner salvò l'onore tedesco.
Poi Nando Martellini sfoggiò una voce insolitamente emozionata, per ripetere tre volte "campioni del mondo". Il presidente Sandro Pertini in tribuna d'onore sventolò la pipa sorridendo. Enzo Bearzot e Dino Zoff fecero una smorfia che somigliava a un sorriso. Il diciottenne Beppe Bergomi rise sotto i baffi. E le strade sotto le nostre case pullulavano di clacson e di bandiere. I più fortunati e grandicelli di noi scesero in strada, a rendersi conto che le fontane della città potevano servire anche a fare il bagno. Gli altri attesero in casa, affacciati alle finestre con la loro bandierina in pugno.
Eravamo campioni del mondo. E niente sarebbe stato più lo stesso. E certe emozioni non se ne sarebbero mai più andate dalla memoria. Come questa specie di filastrocca: Zoff, Gentile, Cabrini, Oriali, Collovati, Scirea, Conti, Tardelli, Rossi, Antognoni, Graziani. Con, nella finale, Bergomi al posto dello squalificato Antognoni. E Altobelli presto al posto dell'infortunato Graziani.
(E se proprio la memoria vi facesse difetto, rinfrescatevela con il video qui sotto)


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