04 luglio 2012

FIGU: CESARE PRANDELLI (Atalanta 1986-87)


Prandelli Cesare (o Claudio, ma questa è una storia complicata) è nato a Orzinuovi, in provincia di Brescia, il 19 agosto 1957. Da giocatore, ha mosso i primi passi nella Cremonese: era diciottenne, orfano di padre da due anni e giocava in serie B quando, dopo una partita, in un bar del paese (dove lo chiamavano Spuma, come il nonno, che aveva una piccola fabbrica di bibite) incontrò la non ancora quindicenne Manuela. Il giorno dopo, con una scusa, andò a prenderla a scuola. Nel 1982, quattro anni dopo, si sposarono: Prandelli, che aveva già disputato un buon campionato all'Atalanta ed era stato preso dalla Juventus di Trapattoni, Platini e del blocco che fece felice l'Italia di Bearzot, aveva già vinto due scudetti. Testimoni di nozze furono Antonio Cabrini e Domenico Pezzola, il giovane giocatore che l'Orceana, la squadra di Orzinuovi, cedette insieme a Prandelli alla Cremonese, in cambio di 500mila lire. Nel calcio non ebbe la stessa fortuna e ora vende formaggi.

Alla Juve Prandelli restò fino al 1985, in tempo per arrivare a tre scudetti, una Coppa Italia, una Coppa delle Coppe e la Coppa dei Campioni nella notte maledetta dell'Heysel (giocò gli ultimissimi minuti della finale), ma senza essere mai protagonista. Era la prima riserva per la retroguardia e i ruoli da centrocampista difensivo. Un mediano, insomma. Nel 1985 tornò all'Atalanta e giocò fino al 1990, poi il ritiro, a causa anche delle ginocchia malconce. Proprio all'Atalanta iniziò la carriera da allenatore, nella Primavera dei bergamaschi, a svezzare i giovani talenti scovati in mezza Italia dal talent scout Mino Favini (che ha voluto a Kiev per la finale degli Europei di domenica scorsa). Nel 1993 centrò la sensazionale doppietta scudetto-torneo di Viareggio: in squadra Alessio Tacchinardi, Domenico Morfeo e il compianto Federico Pisani, morto pochi anni dopo in un incidente stradale.
Tra i "grandi", cominciò proprio nell'Atalanta nel 1996, chiamato al posto di Guidolin ma senza riuscire a evitare la retrocessione. Nel 1998 la sua seconda panchina in serie A, il Lecce: esonero e retrocessione. Fu il Verona a dargli fiducia e lui ricambiò vincendo la serie B. Poi Venezia (con un'altra promozione e un esonero), Parma (due grandi campionati nonostante il crac finanziario della famiglia Tanzi) e, nel 2004, quello che sembrava il grande balzo: la Roma. Ma Prandelli lasciò l'incarico prima del campionato e commosse l'Italia sportiva, e non solo: voleva stare accanto alla moglie, malata di tumore al seno e il calcio non glielo avrebbe permesso. La sua Manuela migliorò e Prandelli tornò in pista nel 2005 con la Fiorentina. In cinque stagioni, ottenne due premi di allenatore dell'anno, consolidò i viola tra le grandi, arrivò a una semifinale di Coppa Uefa e agli ottavi di finale di Champions League, eliminato dal Bayern Monaco anche per colpa di un gol in fuorigioco. Ma, nel 2007, anche la morte della moglie Manuela: il suo tumore aveva aggredito il fegato.
Nell'estate 2010 le dimissioni e la panchina dell'Italia, appena lasciata da un Lippi in disgrazia dopo il disastro dei Mondiali in Sudafrica. Il resto è storia recente: qualificazione e finale agli Europei 2012 (con il figlio maggiore Nicolò nel ruolo di preparatore atletico; la secondogenita Caterina si occupa di volontariato e diritti dei bambini) e una nuova relazione con la quarantunenne Novella Benini.
E il nome? Cesare, come il nonno, era quello imposto da famiglia e tradizione. Ma al padre non piaceva. E così, all'anagrafe, fece mettere Claudio come primo nome. Mai usato. Per tutti, lui era Cesare. Tranne che per le figurine, che lo hanno disciplinatamente chiamato solo Claudio per tutta la sua carriera da calciatore, e Claudio Cesare fino al 2008, da allenatore. Solo nella sua penultima stagione alla Fiorentina, la Panini si convinse a chiamarlo con il nome con cui lo chiamavano tutti.

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