28 novembre 2011

FONZIE, LA DISLESSIA E I GENITORI

Il sorriso di Henry Winkler, 65 anni (fonte The Guardian)

Henry Winkler è l'attore ora sessantaseienne che tutti noi ricordiamo con la giacca di pelle di Fonzie addosso. Quello che pochi in Italia sanno è che ha combattuto per anni con un disturbo invisibile e non diagnosticato, la dislessia. Una battaglia che, come ha raccontato in un'intervista pubblicata sabato dal quotidiano inglese The Guardian, ha reso la sua infanzia un inferno.

Premessa: il meccanico italo-americano che guidava le moto e conquistava ragazze schioccando le dita in realtà è un ragazzo ebreo di Germania. I nonni sono morti, deportati in un campo di concentramento. E i genitori fuggirono negli Usa nel 1939, prima di subire la stessa sorte. Forse sono state le tragedie della vita a rendere freddi papà e mamma Winkler: di fatto, per il piccolo Henry crescere è stato difficile. «Ricordo che mia madre ha riso solo due volte» racconta nell'intervista. «Una volta sul sedile posteriore dell'auto, dopo aver letto una cosa divertente sul giornale. E un'altra volta, a anni di distanza, mentre le facevamo il solletico. Un bambino che viene ascoltato è un bambino forte. Io non mi sono mai sentito ascoltato. A scuola i miei compagni raccontavano le cose belle che facevano con i genitori: una gita, una giornata divertente. Io mi chiedevo come fosse possibile. Non avevo storie del genere da raccontare. E mi intristivo».
Tanta freddezza emotiva era accompagnata da un'esigente severità. «Tutto quel che volevo era essere un figlio migliore per i miei genitori» racconta Fonzie. «Ma a scuola ero pessimo in qualsiasi attività, eccetto la mensa. Era la cosa più importante per loro ed era quella in cui riuscivo peggio. Sapevano essere insensibili e, in qualche modo, crudeli: mi chiamavano "dumm hund", in tedesco». Cioé cane stupido.
Solo all'età di 31 anni, Henry Winkler ha scoperto che i suoi problemi erano dovuti alla dislessia, quando venne diagnosticata al figlio che la moglie aveva avuto da un precedente matrimonio. Perfino il suo heeeyyyy, che è diventato un marchio di fabbirca, era un modo per mascherare le battute che aveva faticato a mandare a memoria. Da allora, per lui è diventata una ragione di vita quella di aiutare i bambini con difficoltà di apprendimento. Scrive libri per ragazzi, il cui protagonista affronta la dislessia. E gira il mondo (in questi giorni è in Gran Bretagna) per fare da testimonial a iniziative legate a questo tema. Il suo messaggio? Ascoltare i bambini: «Se siete in ritardo e state per uscire ma vostro figlio vi ferma per dirvi qualcosa, fermatevi e parlategli. Quei trenta secondi non vi faranno essere troppo in ritardo». Perché non tutti i juke box partono, dando un pugno sul muro...

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