Francesco Nuti in Tutta colpa del paradiso (1985) e nel 2010 |
Negli anni Ottanta adoravo Francesco Nuti. Lo adoro tuttora, ma all'epoca era una sorta di venerazione. Da buon fan mi precipitavo al cinema a vedere i suoi film, e non mi perdevo nemmeno una delle repliche in tv, possibilmente puntando la videocassetta così da non dipendere più dai palinsesti. Mi piaceva quando faceva ridere, dalle scene più stralunate di Madonna che silenzio c'è stasera all'inizio di Caruso Paskoski di padre polacco, quando è ubriaco perso e non si consola fino a quando il carabiniere (cioé Novello Novelli, che c'era in tutti i suoi film) non gli dà un bacino. Mi piaceva quando era poetico, come nel dialogo con il figlio Lorenzo, che non sapeva di essere suo figlio, in Tutta colpa del paradiso. A “E noi sai che si fa? Zitti zitti, noi si mangia la bicicletta di Fausto Coppi...” sentivo i lucciconi. E non ero nemmeno papà per capirlo fino in fondo, quel sentimento.
Ma oggi vorrei mettere nero su bianco un assioma in cui ho sempre creduto: se la canzone Puppe a pera, già nel film Madonna che silenzio c'è stasera è tornata dieci anni dopo nella colonna sonora di Caruso Paskoski, è merito mio. Mio e dei miei amici di scuola. Ora vi spiego: era il 1988 e la nostra gita scolastica di seconda liceo era in Toscana. Epicentro, ovviamente, Firenze. Vedemmo Nuti per la prima volta in autostrada: con una spider superò il nostro bus. Qualcuno lo riconobbe dal finestrino e mi chiamò, ma non arrivai in tempo per vederlo. E mi intristii di uno spleen che solo a diciassette anni e mezzo si può provare.
Poi arrivammo a Firenze. E scoprimmo che Piazza Santa Croce, nel cuore della città, era chiusa. Sigillata per un set cinematografico. Il set di Caruso Paskoski. Ci organizzammo: ribattezzammo “l'eucaristia” un radioregistratore, grosso come quelli dei ragazzi che facevano la break dance sul marciapiede. E lo sistemammo in modo che sparasse a tutto volume Puppe a pera, nella versione di Madonna che silenzio c'è stasera. Una registrazione pirata e di pessima qualità, fatta da uno di noi avvicinando il registratore alla tv mentre c'era il film. Ma a noi fans bastava.
Arrivammo ai bordi del set, vicini quanto le transenne ci permettevano di avvicinarci. Nuti era lì in mezzo, a portata di vista: jeans, maglietta bianca e gilet, che io gli copiavo spesso e volentieri nel mio look. Ah, e occhiali da sole. Puntammo le casse del registratore verso di lui. E sparammo Puppe a pera a tutto volume. Nuti, che stava chiacchierando con qualche assistente, fu distratto dalla musica. Si voltò verso di noi. Sollevò gli occhiali per un secondo. E sorrise.
Quando fu quasi Natale e il film uscì al cinema, ci ritrovammo quasi tutti quelli di allora, curiosi di vedere il film e le scene girate in Santa Croce (noi ci eravamo piazzati sui gradini della chiesa, convinti di essere sullo sfondo di qualche inquadratura). La sorpresa fu un'altra: sentire Puppe a pera nella colonna sonora, proprio alla fine, che partiva su un'inquadratura dall'alto in basso, con scorcio di scollatura di Clarissa Burt. E poi continuava per tutti i titoli di coda.
Non lo sapremo mai. Ma è bello pensarlo e crederci a distanza di più di vent'anni. Più bello che cercare di saperlo, forse. Anche se sarebbe bello abbracciare il Francesco Nuti di adesso, l'uomo che fatica a parlare e non può più camminare, proprio ora che è papà davvero e non solo sul set (e lo è stato tante volte, sul set). Sarebbe bello abbracciarlo e chiedergli di mentire per noi, e di dire che l'idea di Puppe a pera l'ha avuta davvero grazie a un gruppo di ragazzi sconosciuti a Santa Croce. E fargli sapere che gli si vuole ancora tanto bene. Ma tanto. Come può voler bene quella parte di noi che ha ancora diciassette anni e mezzo.
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