08 agosto 2012

1988, L'ESTATE DI BEN JOHNSON E DEL DOPING

Ben Johnson davanti a tutti nei 100 piani a Seul 1988

Da un paio di giorni gli occhi sportivi (ma non solo) italiani sono velati di tristezza per l'esclusione dalle Olimpiadi di Londra 2012 di Alex Schwazer, il biondo marciatore, oro a Pechino, testimonial dalla faccia pulita delle merendine della Kinder e fidanzato di un'altra eroina dello sport dalla faccia pulita, Carolina Kostner. Siamo tristi, perché noi sportivi crediamo nei campioni per cui facciamo il tifo, ma ingenui non lo siamo più da quasi un quarto di secolo. Ovvero dal giorno in cui sfilarono dal collo le medaglie d'oro a Ben Johnson.
Correva l'anno 1988, le Olimpiadi erano a Seul, in Corea del Sud, e quell'anno, come quest'anno, tutti aspettavano i 100 metri. Carl Lewis, la star dei Giochi di quattro anni prima, in cui aveva vinto quattro ori, era l'eroe buono. Ben Johnson, giamaicano (come Usain Bolt) di nascita ma canadese d'adozione, era lo spettacolare guastafeste. Nel 1987, ai Mondiali di Roma, aveva vinto lui, polverizzando Lewis e il record del mondo, con il cronometro fermo a uno stellare 9''83. Quando fu il momento della finale olimpica, in Italia era notte. Ma in molti puntarono la sveglia pur di esserci, almeno davanti alla tv, convinti che sarebbe stata una gara storica. Fu così. Ben Johnson si avvantaggiò fin dalla partenza col saltino, suo marchio di fabbrica. E si concesse il lusso di tagliare il traguardo con il braccio alzato e l'indice al cielo, mentre Carl Lewis poteva solo guardargli i pantaloncini. Il tempo? Da leggenda: 9''79.
Tre giorni appena dopo quell'incredibile exploit, una secchiata d'acqua gelata spense l'entusiasmo di un mondo intero di sportivi: nelle urine di Ben Johnson furono trovate vistose tracce di steroidi, il farmaco che moltiplica i muscoli. Fu squalificato, cacciato dai Giochi e privato delle medaglie. Per la prima volta, in una gara così importante, la cerimonia di premiazione con inni e bandiera si rivelò l'atto finale di una truffa. L'oro tornò, a tavolino, sul collo di Carl Lewis, detto "il figlio del vento". Nel vento finì dispersa anche la nostra ingenuità di sportivi. Da allora un velo di disilluso scetticismo rende meno luminosa qualsiasi impresa. E non c'è notizia di atleta sorpreso a barare che sia in grado di stupirci come nell'estate del 1988.
Che fu anche quella delle oltre 100 medaglie della piccola Germania Est, dove, come si scoprì solo tre anni dopo, il doping era un affare di stato, gestito direttamente dalla polizia militare. Kristin Otto, stella di quelle Olimpiadi nel nuoto, con sei ori (a stile libero, dorso e farfalla, non ci è riuscito più nessuno) ha sempre respinto le accuse, dicendo che era solo il frutto dei duri allenamenti. Fu quella di Florence Griffith, che detiene ancora il record di 100 e 200 piani, a 24 anni di distanza, ma è morta dieci anni dopo quell'Olimpiade e il suo passato da atleta con sospetti di doping sembra avere a che fare con quella scomparsa prematura, mentre si accingeva a iniziare una nuova carriera da scrittrice di favole per bambini. E Carl Lewis, anni dopo quegli ori simbolo di uno sport ancora pulito, è comparso nelle confessioni di un medico che raccontò (ma le accuse non furono mai provate) di come le federazioni sportive statunitensi coprissero, alla stregua dei tedeschi dell'est, gli atleti sorpresi a barare a un controllo medico. Lewis, che ha sempre respinto quelle accuse, ai giorni nostri ha accusato a mezza voce Usain Bolt, dicendo che i suoi progressi in poco tempo sono da giudicare sospetti...

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