13 febbraio 2012

IO E BARON KARZA

(dedicato a mamma e papà)
 
Doveva essere il 1979 o il 1980. A quell'epoca passavo un sacco di ore davanti alla tv, a scanalare tra le neonate reti private a caccia dei cartoni dei robot, magari con il quaderno dei compiti di quinta elementare davanti agli occhi (si chiama multitasking, ho scoperto quasi trent'anni dopo). E leggevo ancora Topolino, che una volta la settimana mio padre portava a casa insieme al quotidiano del giorno e, se ero stato buono, a qualche pacchetto di figurine Calciatori Panini. Su Topolino imperversavano le pubblicità dei Micronauti: quello bianco si chiamava Force Commander, quello nero, che era il mio preferito, Baron Karza. Erano fantastici: le braccia, le gambe e la testa erano agganciate al corpo da un sistema di magneti. Proprio come i componenti di Jeeg, quando Miwa li lanciava a Hiroshi. I pugni schizzavano via, come un maglio perforante. Sulla schiena poteva portare una coppia di razzi appuntiti, che facevano da missile e da trivella. E dalla pancia partiva un missile rosso, come il terribile raggio protonico di Jeeg.

Si avvicinava Natale e io desideravo quel robot giocattolo sopra ogni cosa. Dovete sapere, cari bambini, che io a quell'epoca avevo smesso di credere a Babbo Natale. Forse perché, come ogni bambino, sognavo un sacco di giocattoli e sempre più spesso, man mano che crescevo, sotto l'albero c'erano vestiti, scarpe, penne preziose, perfino buste con qualche banconota. I cosiddetti regali utili, insomma.
Quel Natale sembrava uguale agli altri: sventolavo davanti ai miei genitori la pubblicità del Topolino, e replicavo il gesto anche davanti a qualche zio compiacente. Ma le reazioni erano scoraggianti. Il mio eroe Baron Karza era definito “brutto”, “una porcheria”, “cosatenefaicheormaiseigrande” e via così. Cose da far perdere ogni speranza, insomma.
Fino a che, la mattina di Natale, vado nella stanza bella di casa, la sala da pranzo sacra, con i soprammobili preziosi, quella dove i bambini facevano bene a stare alla larga. Ma lì mamma faceva il presepe con le statue grandi e il muschio e il laghetto di stagnola con i cigni di plastica. E lì passavo ore e ore, a guardare le lucine che si accendevano e spegnevano. E lì, nascosto in qualche modo sotto un mobile, c'era un pacchetto che non avevo mai visto. Non lo avevano portato le zie, né le cugine, né gli amici di famiglia. E c'era un biglietto con il mio nome e una stringata indicazione: da Gesù Bambino (che ai miei tempi si doveva distrarre dalle cose spirituali e si dedicava insieme a Babbo Natale al duro lavoro di portare i regali).
Aprii. Era lui. Baron Karza. Nero lucente, con gli occhi rossi e cattivi e i pugni che si sparavano come armi letali da un centimetro di diametro. Ma a me sembrava un angelo. Quando alzai gli occhi, mamma e papà mi guardavano. Dovevo avere un'aria felice come non mai, perché sorridevano soddisfatti. Io non scrivevo più la letterina, si vede che ci avevano pensato loro. E che ero stato buono. E anche loro...
Passai il giorno di Natale, e molti giorni successivi, a simulare battaglie stellari contro nemici terribili e immaginari. Smontai e rimontai decine di volte braccia, gambe e testa. Cercai sotto i mobili più irraggiungibili il missilino rosso che usciva dalla pancia, che sembrava avere la caratteristica di rotolare via fuori controllo dopo aver colpito il suo bersaglio. E ancora oggi, se devo pensare a un Natale di pura felicità (e ci penso ogni volta che vedo la mia bimba con gli occhi spalancati di gioia, davanti ai pacchetti che ha lasciato Babbo Natale sotto l'albero), penso al regalo sotto il mobile. E agli occhi rossi e incarogniti di Baron Karza.

5 commenti:

  1. Hai ragione canna sembrava proprio jeeg!

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  2. Erano jeeg! Cioè un plagio del giocattolo di jeeg, (prodotto da takara)prodotto da un'altra casa, cambiava solo la testa. Ricordo la pubblicità di questi giocattoli su topolino.

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  3. complimenti. potrà sembrare strano, ma mi sono riconosciuto nel tuo ricordo e mi sono commosso.

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  4. lo potrei copiare ed incollare come un mio ricordo... compresa la sala da pranzo dove si entrava, appunto, solo per Natale...

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