21 febbraio 2013

LE GNOCCHE DELLA MUSICA ANNI OTTANTA - QUINTA ELIMINATORIA


Il fascino non si compra al mercato, e nemmeno il carattere. Quanto al talento, o ce l’hai e non lo butti nel cestino, o non c’è nulla da fare. Per questo, se la sfida del sondaggione delle gnocche della musica anni Ottanta si svolgesse sul palco sarebbe uno spettacolo assoluto, a patto di uscire vivi dal manrovescio che Tina Turner e Annie Lennox ci avrebbero allentato, a sentirsi chiamare gnocche così all’improvviso.

Tina Turner, con i suoi riccioli corretti mèches e le sue minigonne quasi inguinali, ha fatto irruzione nelle nostre vite nel 1984, quando il singolo What’s love got to do with it ha valicato l’oceano. Età della signora del rock spruzzato abbondantemente di blues: 45 anni. Troppi, per contendere spazio ai poster delle più vistose nelle nostre camerette. E poi qualche mamma o qualche papà forse avevano già comprato un suo disco anni prima, magari quel Proud Mary del 1971 quando ancora faceva coppia con il marito Ike. E questo, agli occhi di un adolescente ottantologista, suonava strano forte. Ma l’età è un inutile numero, se si ha una voce e una grinta da performer come quella di Tina, che all’anagrafe si chiamerebbe Anna e alla fine degli anni Cinquanta si sarebbe accontentata di diventare un’infermiera. Basti la mia preferita, per tutte: il duetto con la chitarra e la voce di Bryan Adams in It’s only love. Senza contare la sua attitudine ai concerti, come l’esibizione con Mick Jagger al Live Aid o le 180mila persone (record mondiale condiviso con Paul McCartney) che l’hanno vista dal vivo al Maracanà di Rio de Janeiro nel 1988. E poi, tornando all’argomento base del nostro sondaggione, quella minigonna le stava a pennello.
Carattere, si diceva: se non ne avesse avuto a container, una timida studentessa scozzese di flauto non sarebbe mai diventata prima una aggressiva trascinatrice del Brit Pop ai tempi dell’elettronica, poi una performer di classe sopraffina e un’attivista politica e sociale così in prima linea da meritarsi un riconoscimento dalla regina Elisabetta. Annie Lennox l’abbiamo conosciuta nel 1983, capelli corti color rosso ciliegia, viso spigoloso e affilato, sguardo che cattura, atteggiamenti androgini: la canzone era Sweet Dreams e, anche se il gruppo si chiamava Eurythmics (insieme ai riccioli arruffati di Dave Stewart), a tutti piaceva imparare il nome di quella cantante che, quando sparava un acuto, ci metteva tutti seduti. Poi arrivò Sex Crime, ripetuto come un mantra a Deejay Television, poi un album meraviglioso come Be yourself tonight, anno 1985. In quel vinile, scoprimmo il lato più dolce di Annie, con There must be an angel (e che choc vederla nel video con le ali piumate...) e It’s alright. E adorammo la potenza viva della sua voce nel duetto con Aretha Franklyn di Sisters are doin' it for themselves. In carriera ha vinto otto Brit Awards e quattro Grammy (il primo nel 1987 con la potentissima Missionary Man). Ed è ancora, all’età di 59 anni (Tina Turner ne ha 73...), una donna dal fascino magnetico. Ereditato dalla figlia minore Tali, che ha vent’anni e fa la modella.

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