Ci siamo: il secondo giorno del
Rewind the 80s Festival, domenica 28 luglio, è qui per voi e per la vostra invidia. Il racconto è a cura
dei nostri inviati Elizabeth e Raffaele, la vicepreside e il prof. E se vi siete persi le puntate precedenti, correte in fondo a questo post e troverete i link.
I Level 42 sul palco |
Secondo giorno e… acqua a catinelle. Il risveglio è un rainday più che un sunday. Si impreca contro giove pluvio e l’unione di tanta volontà basta a scongiurare il peggio.
Il tempo rimane clemente al punto da far titolare al locale The Courier: "Fabulous rewind time, come rain or shine" (qualcosa che in italiano suona come: “Favolosi tempi andati, sia asciutti che bagnati”), ahahahahah roba che neanche Pippo della Lines avrebbe osato …
Torniamo alla cronaca. Arrivano ad aprire il secondo giorno i Blow Monkeys dell’eclettico Dr. Robert. Abbiamo amato moltissimo i loro successi quali: This is your life e ancor di più Digging your scene e It doesn’t have to be this way, quindi gli perdoniamo qualche stecca di troppo. A seguire i claudicanti The Blockheads che inventarono lo slogan Sex & drugs & rock & roll ma che oggi appaiono più vecchi che vintage.
Chi ha lanciato una scarica positiva di adrenalina pura è stato Al McKay con gli EWF (Earth Wind and Fire) Experience che ha infiammato il pubblico con September, Boogie Wonderland, Fantasy e tanti altri successi, accompagnato da una miriade di musicisti bravissimi. (La vicepreside si è presa una bella mezz’ora di puro ballo, che divertimento!).
Belli carichi da cotanta disco sulla pelle, arrivano i Level 42 di Mark King & Co. a darci la risposta sul significato della vita. Il nome Level 42, infatti, pare affondi le radici nella letteratura fantascientifica (un po’ come i Duran Duran del resto). Si inizia con qualche brano minore per dare spazio poi alle hits. Running in the family, Something about you e Lessons in love hanno infiammato la folla. Curioso contrattempo è stato l’unico blackout di qualche minuto che ha dato la possibilità di assistere a una performance acustica a 8 mani 8 (!!!) alla batteria, guidata normalmente dal solo Pete Ray Biggin. Tutti a picchiare e a far saltare il pubblico, compreso quel grande personaggio che è Mark King. Finita la performance, ci regala qualche battuta nella zona dedicata ai fans, mentre, da lontano, Sonia canta Hopelessy devoted to you (Grease… ricordate?) a infarcire un repertorio alquanto scarno e lui si unisce canticchiando con il pubblico della Vip Area e con i giornalisti presenti.
Nel frattempo Carol Decker che ha ben introdotto il festival ci ricorda che con Heart and Soul ha scritto con le T-Pau una piccola pagina degli anni ’80. I Cutting Crew ci rifanno innamorare con I just died in your arms e I’ve been in love before. I Flying Pickets, ovvero i nostri Neri per Caso. Dimenticabilissimi. Mr. Nik Kershaw trascina il pubblico con I won’t let the sun go down on me, quindi The Riddle e Wouldn’t it be good. Un signore al quale il prof è particolarmente affezionato e che si è guadagnato applausi convinti.
Saremo sempre grati a quel bel fusto di Jason Donovan che ci ha fatto trovare due cheeseburger e due birre senza l’ombra di una coda in quanto il popolo del festival, soprattutto femminile, era allineato e coperto sotto il palco. Visto che insistete buttiamo là due o tre successi: Too many broken hearts, Nothing can divide us, Especially for you (roba che anche il prof ricordava solo questa, ma grazie agli occhi blu della voce femminile Kylie Minogue). Qualche sorso di birra dopo, trasaliamo sentendo delle stecche che neanche a La Corrida di Corrado. Il prof ne regge un paio poi, a costo di guadagnarsi due incisivi nuovi di zecca tra i gomiti delle prime fila, vuole testimoniare l’evento. È Belinda Carlisle a guadagnarsi la palma di peggiore del festival. Viso tirato a fionda e stonata quanto poche. C’è pure chi applaude, sigh!
Fortunatamente arriva Lui. Il Sir del Pop Eighties. Tony “Spandau Ballet” Hadley che si regala ai fans nell’Area Vip, anche prima del concerto. Voce piena, abito elegante, in verità leggermente avvinazzato (o awwhiskato…) ci regala successi quali Gold, Through the barricades, True e Only when you leave.
Chiudono l’evento gli Human League che hanno sostituito con onore all’ultimo gli OMD bloccati da una indisposizione dell’ultimo momento. Anche se confessiamo di non amarli alla follia, sono stati originali e con Human, Lebanon e soprattutto Don’t you want me hanno mandato tutti a nanna felici.
Che dire... una due giorni che resta nell’anima, un festival che a noi Ottantologisti nostalgici piace eccome!
Torniamo alla cronaca. Arrivano ad aprire il secondo giorno i Blow Monkeys dell’eclettico Dr. Robert. Abbiamo amato moltissimo i loro successi quali: This is your life e ancor di più Digging your scene e It doesn’t have to be this way, quindi gli perdoniamo qualche stecca di troppo. A seguire i claudicanti The Blockheads che inventarono lo slogan Sex & drugs & rock & roll ma che oggi appaiono più vecchi che vintage.
Chi ha lanciato una scarica positiva di adrenalina pura è stato Al McKay con gli EWF (Earth Wind and Fire) Experience che ha infiammato il pubblico con September, Boogie Wonderland, Fantasy e tanti altri successi, accompagnato da una miriade di musicisti bravissimi. (La vicepreside si è presa una bella mezz’ora di puro ballo, che divertimento!).
Mark King dei Level 42 con la vicepreside e il prof |
Belli carichi da cotanta disco sulla pelle, arrivano i Level 42 di Mark King & Co. a darci la risposta sul significato della vita. Il nome Level 42, infatti, pare affondi le radici nella letteratura fantascientifica (un po’ come i Duran Duran del resto). Si inizia con qualche brano minore per dare spazio poi alle hits. Running in the family, Something about you e Lessons in love hanno infiammato la folla. Curioso contrattempo è stato l’unico blackout di qualche minuto che ha dato la possibilità di assistere a una performance acustica a 8 mani 8 (!!!) alla batteria, guidata normalmente dal solo Pete Ray Biggin. Tutti a picchiare e a far saltare il pubblico, compreso quel grande personaggio che è Mark King. Finita la performance, ci regala qualche battuta nella zona dedicata ai fans, mentre, da lontano, Sonia canta Hopelessy devoted to you (Grease… ricordate?) a infarcire un repertorio alquanto scarno e lui si unisce canticchiando con il pubblico della Vip Area e con i giornalisti presenti.
Nik Kershaw |
Nel frattempo Carol Decker che ha ben introdotto il festival ci ricorda che con Heart and Soul ha scritto con le T-Pau una piccola pagina degli anni ’80. I Cutting Crew ci rifanno innamorare con I just died in your arms e I’ve been in love before. I Flying Pickets, ovvero i nostri Neri per Caso. Dimenticabilissimi. Mr. Nik Kershaw trascina il pubblico con I won’t let the sun go down on me, quindi The Riddle e Wouldn’t it be good. Un signore al quale il prof è particolarmente affezionato e che si è guadagnato applausi convinti.
Saremo sempre grati a quel bel fusto di Jason Donovan che ci ha fatto trovare due cheeseburger e due birre senza l’ombra di una coda in quanto il popolo del festival, soprattutto femminile, era allineato e coperto sotto il palco. Visto che insistete buttiamo là due o tre successi: Too many broken hearts, Nothing can divide us, Especially for you (roba che anche il prof ricordava solo questa, ma grazie agli occhi blu della voce femminile Kylie Minogue). Qualche sorso di birra dopo, trasaliamo sentendo delle stecche che neanche a La Corrida di Corrado. Il prof ne regge un paio poi, a costo di guadagnarsi due incisivi nuovi di zecca tra i gomiti delle prime fila, vuole testimoniare l’evento. È Belinda Carlisle a guadagnarsi la palma di peggiore del festival. Viso tirato a fionda e stonata quanto poche. C’è pure chi applaude, sigh!
Tony Hadley degli Spandau Ballet |
Fortunatamente arriva Lui. Il Sir del Pop Eighties. Tony “Spandau Ballet” Hadley che si regala ai fans nell’Area Vip, anche prima del concerto. Voce piena, abito elegante, in verità leggermente avvinazzato (o awwhiskato…) ci regala successi quali Gold, Through the barricades, True e Only when you leave.
Chiudono l’evento gli Human League che hanno sostituito con onore all’ultimo gli OMD bloccati da una indisposizione dell’ultimo momento. Anche se confessiamo di non amarli alla follia, sono stati originali e con Human, Lebanon e soprattutto Don’t you want me hanno mandato tutti a nanna felici.
Che dire... una due giorni che resta nell’anima, un festival che a noi Ottantologisti nostalgici piace eccome!
3 - fine
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